Il dramma di Jeff Nichols, interpretato anche da Jodie Comer e Mike Faist, rifiuta la nostalgia e si concentra sui personaggi che cercano e si aggrappano all’amore.

The Bikeriders parla della morte di un sogno, non necessariamente nobile.

I Vandals MC sono un club di motociclisti di Chicago, vanno in giro in branco e bevono birra.

Di tanto in tanto si scontrano, per poi stappare una bottiglia con i loro ex combattenti una volta che l’adrenalina si è esaurita e possono tornare ad essere amici.

C’è una certa malinconia nel dramma di Jeff Nichols che, pur essendo di fantasia, è direttamente ispirato all’omonimo libro fotografico di Danny Lyon del 1967.

Sebbene il film di Nichols rifiuti la nostalgia vera e propria – o qualsiasi altra sensazione ingenua – mostra un tenero affetto per coloro che cercavano la libertà sulla strada aperta.

È splendidamente girato in pellicola, in anamorfico 35 mm, dal direttore della fotografia Adam Stone, ma non cerca feticisticamente di ricreare il lavoro di Lyon o il look dell’epoca.

Al contrario, The Bikeriders utilizza il luogo e l’ambientazione per esplorare uno dei temi preferiti di Nichols: le persone che cercano disperatamente di aggrapparsi all’amore, che si tratti di un padre che protegge la sua famiglia da una tempesta apocalittica (forse immaginaria) in Take Shelter del 2011 o di una coppia che si oppone con forza al sistema legale razzista in Loving del 2016.

Diversi amori sono sotto attacco. C’è quello condiviso tra Kathy (Jodie Comer), la cui intervista con Lyon (qui interpretato da Mike Faist di Challengers) funge da narrazione del film, e il membro dei Vandals Benny (Austin Butler), un vero ribelle senza causa.

Morirebbe per le toppe sul giubbotto.

Kathy è attratta da quell’orgoglio ostinato, ma è anche consapevole che non è esattamente la base migliore per una relazione sana e duratura.

L’unico amore di Benny, teme, potrebbe essere la sua moto.

Johnny (Tom Hardy), il fondatore del club, si è affezionato al suo stoicismo da disadattato.

È un tipo di stoicismo che ha incontrato per la prima volta, da padre di famiglia con un lavoro fisso, guardando in televisione Marlon Brando in Il selvaggio del 1953, che gli ha ispirato la creazione dei Vandali.

“Ehi Johnny, a cosa ti stai ribellando?”. “Che cosa hai?”, recita il famoso scambio di battute di quel film.

Sebbene la voce narrante di Kathy – pronunciata da Comer con un accento del Midwest preciso e stridente – possa ricordare quella di Karen Hill in Quei bravi ragazzi, c’è una differenza fondamentale tra queste storie.

Il tipico protagonista di Scorsese è un relativo innocente coinvolto e sedotto in un ordine fondamentalmente mostruoso.

Ma Johnny, Benny e persino Kathy vivono già al centro idealistico del loro mondo e sono costretti ad assistere al suo avvelenamento da parte di forze esterne.

Hardy sa interpretare con disinvoltura il duro con un cuore di vetro incrinato, e Johnny vede la poesia nella curva di alluminio fuso di un motore, o nell’abbraccio da carrozza del manubrio.

Per lui, i Vandals sono un’opportunità per gli outsider della vita di cercare uno scopo.

C’è un monologo rivelatore di uno dei membri, interpretato da Michael Shannon, amico e frequente collaboratore di Nichols.

Parla del risentimento che prova nei confronti del fratello, “ragazzo americano e pulito”, che è stato mandato in Vietnam mentre lui no, nonostante abbia cercato di arruolarsi.

La mancanza di scopo di questi uomini ha il chiaro aroma dell’autodistruzione.

La conclusione è scritta nelle stelle: con l’avvicinarsi della fine degli anni Sessanta, si insinuano nel club di Johnny anche agitatori esterni che danno più valore al potere che alla lealtà.

E Benny, anche se dotato del carisma disarmante di Butler, diventa meno enigmatico e più illuso, giurato su un’idea che è già in punto di morte.

Con The Bikeriders, Nichols complica quella che altrimenti sarebbe potuta essere un’ode romantica a una sottocultura, trasformandola in una vera tragedia americana.

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