Un film divertente e pieno di riflessioni in perfetto equilibrio tra Fantozzi e Pupi Avati.

Debutto alla regia per l’attore marchigiano con una commedia raffinata, tratta dal romanzo omonimo di Roberto Perrone e ambientata nella Milano degli anni ’60.

“Non è un film sul calcio – ci racconta l’artista, che interpreta un ex grande portiere caduto in disgrazia – ma una storia di emancipazione e riscatto”.

Nasci incendiario, muori pompiere. Un detto che solitamente presuppone un risultato negativo nel descrivere come il tempo tenda a smussare anche i caratteri più taglienti, caustici.

Un detto a cui ho pensato vedendo gli esordi alla regia di due comici che hanno scritto la storia televisiva degli anni ’90: Paola Cortellesi e Neri Marcorè.

Due nomi di enorme talento, capaci di imitazioni e battute graffianti, le cui carriere prima televisive e poi cinematografiche si sono consumate negli stessi anni, talvolta condividendo il palco.

Ora sono arrivati entrambi all’esordio registico, in un momento storico in cui gli interpreti sono sempre più inclini a tentare la strada della regia.

Lo fanno con film che sembrano abbracci: caldi, inclusivi, positivi e speranzosi verso il futuri, visto però sempre e solo attraverso la lente del passato.

Il loro debutto in questo senso arriva a distanza di pochi mesi. Come è andata con C’è ancora domani di Cortellesi lo sappiamo: incassi da record, pioggia di candidature ai David di Donatello.

Con Zamora arriva una seconda, bella sorpresa.

Neri Marcoré mette insieme un debutto alla regia di sostanza e con una certa solidità, che potrebbe fare bene presso un pubblico molto specifico: quello che non ha bisogno di spiegazioni rispetto al titolo del film.

“Non è la storia di un calciatore, ma di un ragioniere che viene costretto a giocare a calcio”, chiarì subito Marcorè quando presentò la pellicola.

“Il calcio è una sorta di liquido di contrasto che lascia emergere i limiti e anche gli sproni che Walter vuole trovare in sé.

È una storia di formazione, nella quale s’innestano le esistenze di altri caratteri, soprattutto femminili, liberi e intellettualmente molto forti”.

Perché, come sostiene Giorgio Cavazzoni, l’anti-eroe impersonato dal 57enne comico di Porto Sant’Elpidio, “c’è sempre di mezzo una donna”.

Come l’emancipata Ada, la segretaria per cui l’impiegato perde la testa, che ha il merito di scuoterlo dall’impaccio e dal suo incallito stato di inadeguatezza; o la sorella Elvira, altro spirito liberissimo, che lo ospita nel suo appartamento meneghino senza sconti (“io non sono né la tua cuoca né la tua cameriera, va bene?”), ma sarà lei a suggerire al fratello di trovare un ‘maestro’, qualcuno che lo prepari a tuffarsi, non solo metaforicamente, in campo come nella vita. 

È una commedia raffinata, dolcissima e spassosa come il suo regista – discepolo della scuola poetica di Pupi Avati – che si ritaglia questa parte di un glorioso ex portiere della Nazionale caduto in disgrazia, sprofondato negli abissi dell’alcol e delle bische clandestine.

Non vi diciamo altro, l’unica cosa che ci va di suggerirvi, è un film assolutamente da non perdere divertente ma allo stesso tempo profondo.

Di marty_berny

Vengo da un galassia lontana lontana... Appassionata di cinema e serie tv anche nella vita precedente e devota ai Musical

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