Che fine ha fatto l’estro e la genialià DI Zack Snyder?

Recensire un progetto di Snyder non è facile, da sempre divisivo per le sue scelte è davvero difficile essere obiettivi ma una cosa è sicura, questa scrittura, che nasceva per diventare uno “Star Wars” con un pizzico di “Sette samurai” trovò le porte chiuse prima proprio alla Lucas Film poi più volte anche alla Warner Bros prima che Netflix decise finalmente di produrlo.

Sicuramente partito con potenzialità economiche superiori a quelle che potrebbero essere di una piattaforma streaming non possiamo sapere se tante cose viste in questa prima parte che ci hanno fatto storcere il naso (CGI di modesta qualità ed altro) siano dovute ad indispensabili modifiche date dalle differenze di budget su un qualcosa che era stato scritto con altre prospettive economiche.

Una cosa è sicura, e quello prescinde dal budget, la scrittura è davvero piatta e non ti emoziona e se Snyder non prova a rinnovarsi rischia veramente di finire la sua carriera.

Il prodotto finito, fin’ora ha solo i contorni più vaghi di quello che dovrebbe essere la trama: questo film di 134 minuti copre in realtà solo la fase di messa insieme della banda, che la maggior parte dei film del genere esaurisce entro la prima mezz’ora, un frammento di storia da concludere con un secondo capitolo l’anno prossimo. Si spera che Snyder abbia conservato le cose migliori per la conclusione, e non solo i grandiosi scontri, vistosamente assenti da un’avventura che si adatta e appartiene a un computer portatile. I fan di Snyder di vecchia data potrebbero scoprire che i suoi caratteristici tableaux d’azione al rallentatore sembrano più che altro screensaver. C’è ancora tempo per aggiungere lo sviluppo dei personaggi (speriamo) alla sua banda di ritagli di cartone, la tattilità delle location non descritte in green screen, un senso più profondo alla trama generica e stucchevole, e tutto il resto che lascia una sorta di nulla lucido nella sua mancanza. Ma ai titoli di coda, aspettarsi che qualcuno torni a scoprirlo sembra chiedere molto.

Nelle scuole di cinema, alcuni professori usano l’esempio familiare di Star Wars per insegnare la mitologia campbelliana, le teorie che identificano e codificano le unità narrative ricontestualizzate fin dai tempi greci. Snyder dimostra una chiara padronanza di questi concetti con la sua sceneggiatura di stampo classico, ma ha dimenticato la parte in cui gli archetipi sono destinati a essere rinfrescati attraverso contesti nuovi. Sull’umile pianeta agricolo di Wherever, nella galassia di Who Cares, la sagoma di un Eroe (Sofia Boutella, tersa e priva di umorismo e fisicamente perfetta, proprio come piace a Snyder) deve difendere il suo villaggio da una lontana idea di Impero del Male. Loro sono saliti al potere in un grande cataclisma del passato, durante il quale la famiglia della nostra Eroina è stata uccisa, e il Boss Finale l’ha presa con sé per insegnarle le abilità di combattimento che un giorno userà per vendicarsi. Snyder scambia l’esposizione per la costruzione del mondo, e le lugubri risme di retroscena allontanano il pubblico dalla fantasia invece di immergerlo in essa.

Per rovesciare il Mini-Boss (Ed Skrein) venuto ad appropriarsi del grano della sua gente, lei e il suo Sidekick ( Michiel Huisman) se ne vanno in giro per il cosmo a raccogliere simpatizzanti per la loro causa, tra cui un mercenario interessato ma caddiemente simpatico che chiameremo il “non Han Solo” (Charlie Hunnam, più visibilmente sveglio della maggior parte dei suoi partner di scena). È più facile che ci si riferisca a loro in base alla loro funzione, sia perché esistono come poco più che bozzetti, sia perché il mix sonoro fangoso non fa certo un favore agli spettatori, ma soprattutto perché i loro nomi sono spesso lunghi e difficili da memorizzare. Altri sono più accattivanti, ma mai per buone ragioni. Il generale Titus (Djimon Hounsou) e il re Levitica dalla faccia di calamaro offrono allusioni arbitrarie di cui la scrittura non cerca mai di rendere conto. Alcuni sono semplicemente sciocchi, come i guerrieri fratello-sorella soprannominati Blood Axe o l’effettato colono di Skrein che risponde al nome di Atticus Noble.

Nonostante il design di alcune creature, la manciata di eccentricità non si aggiunge mai a un senso di personalità più colorato; un parassita carnoso che usa il suo ospite umano come manichino da ventriloquo bazzica nell’equivalente di Snyder della cantina di Mos Eisley, ma il suo misero alveare di feccia e malvagità ha l’arredamento pulito e la calda luce naturale di un ristorante di sushi di lusso. Anche quando la fantascienza va terribilmente male, di solito produce qualche stranezza memorabile, un compromesso che ha fatto sì che film come Jupiter Ascending o Valerian e la città dei mille pianeti siano stati apprezzati dai loro culti autoselezionati. In questo caso, la sensibilità poetica di Snyder è totalmente priva di umorismo, intenzionale o meno. La lotta tra il bene e il male è stata immaginata da Snyder come il suo capolavoro, con una durata cumulativa e una portata senza precedenti nella sua carriera. Impazzire di potere dovrebbe essere per lo meno divertente, esaltante nell’assecondare i capricci più stravaganti di un artista. Invece, l’aspirante opera magna di Snyder è semplicemente noiosa.

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