La star interpreta una conduttrice televisiva di mezza età che si sottopone a un farmaco per generare un replicante del suo io più giovane nella satira intrisa di sangue della regista francese Coralie Fargeat
Il corpo femminile è un film dell’orrore in attesa di essere realizzato. Dalla pubertà e dal macabro inizio delle mestruazioni, in film come Carrie di Brian De Palma e Ginger Snaps di John Fawcett, fino alla gravidanza e al parto – Rosemary’s Baby è l’esempio più ovvio – le donne hanno fornito una ricca fonte di ispirazione per i registi di genere nell’ultimo mezzo secolo.
Ma se si guarda un po’ più da vicino, appaiono evidenti due tendenze: la stragrande maggioranza degli horror basati sul corpo femminile ha a che fare con vari aspetti del sistema riproduttivo ed è stata in gran parte realizzata da uomini (Titane e Il primo presagio, due esempi recenti di film che sfruttano la gravidanza per l’orrore, sono eccezioni degne di nota). E questo è parte di ciò che rende l’opera seconda della regista francese Coralie Fargeat così stimolante e viscerale: The Substance non solo offre una prospettiva femminile sul corpo delle donne, ma sostiene anche che le cose iniziano a diventare veramente complicate solo quando la fertilità è un lontano ricordo.
Naturalmente non mancano i film horror che utilizzano il corpo femminile anziano per un valore grottesco di shock. Sono un elemento chiave del sottogenere “hagsploitation” – si pensi a Mia Goth rivestita di protesi di carne cadente in X di Ti West. Ma il punto di partenza di The Substance non è tanto il corpo in sé quanto una reazione all’idea di esso. La storia è innescata dal violento cambiamento di atteggiamento che si verifica quando una donna compie 50 anni e raggiunge quella che la società considera la sua obsolescenza intrinseca.
È un film gioiosamente eccessivo, che evoca immagini oltraggiose e mostruose e poi le ricopre di altro sangue. Fa sembrare Dumplings, film del 2004 di Fruit Chan, un modello di moderazione e gusto (e quello, ricorderete, era un film che serviva un menu di dim sum pieni di feti umani nella sua ricerca di bellezza e ringiovanimento). Nel profondo di tutti i fluidi spinali e le escrescenze pustolose che trasudano, c’è un nocciolo di credibilità: The Substance ci immerge nella squilibrata e disorientante carneficina emotiva della menopausa in un modo che pochi altri film sono riusciti a fare.
Nel ruolo centrale della star del cinema trasformata in istruttrice televisiva di fitness Elisabeth Sparkle, Demi Moore offre l’interpretazione più coraggiosa ed esposta della sua carriera. Avendo trascorso tutta la sua vita davanti alla macchina da presa, Elisabeth sa bene che l’industria può perdonare molte cose, ma l’invecchiamento non è una di queste. Festeggia il suo 50° compleanno a pranzo con il suo capo, lo sfacciato dirigente televisivo Harvey (Dennis Quaid). Lui distrugge un piatto di gamberetti (l’audio è fastidiosamente alzato per tutto il film, ma lo scricchiolio e lo stridio dei crostacei fanno trasalire) e con disinvoltura le rescinde il contratto.
Il modo in cui la macchina da presa adora l’altare dei glutei immacolatamente tonici e dell’elasticità della pelle scintillante funziona perfettamente.
Depressa, con nient’altro che l’infinita terra desolata dell’irrilevanza a cui guardare, Elisabeth è una cliente ideale per la Substance, un farmaco per la riproduzione cellulare a mercato nascosto che promette una nuova persona, letteralmente: una versione fresca di scatola, senza rughe, sintetizzata dal materiale genetico esistente e “fatta nascere” nel modo più raccapricciante che si possa immaginare. La replicante di Elisabeth è Sue (Margaret Qualley), un esemplare fisicamente perfetto destinato alla celebrità immediata dopo aver assunto il body metallico e il ruolo centrale nello show di fitness appena lasciato libero da Elisabeth. Imbarazzante. La nuova versione e l’originale hanno un delicato equilibrio simbiotico; devono scambiarsi di posto ogni sette giorni e la nuova incarnazione deve essere stabilizzata ogni giorno. È un macabro patto faustiano – in parte Dorian Gray, in parte Gremlins.
Il tema della modificazione futuristica del corpo è un tema che continua ad affascinare Fargeat: il suo cortometraggio del 2014, Reality+, trattava di un chip cerebrale impiantato che permetteva a chi lo riceveva di avere la percezione di un fisico perfetto. In seguito, il suo debutto nel lungometraggio, Revenge (2017), ha attinto alla furia del movimento #MeToo e ha dato il tono al precario equilibrio tra femminismo e sfruttamento che caratterizza il suo ultimo film.
Forse non c’è bisogno di dirlo, ma questo non è il film a cui guardare per il realismo e la logica interna. Fargeat sorvola piuttosto sulla questione dell’esistenza di una coscienza condivisa tra le due donne. “Ricordate che siete una cosa sola”, ammonisce il manuale di istruzioni delle flashcard che accompagnano le fiale della Sostanza. Inevitabilmente, però, Elisabeth e Sue si ritrovano in guerra per l’equilibrio delle loro risorse condivise che stanno diminuendo. È una battaglia che non può finire bene per nessuna delle due. Ma in fondo, non è forse questa la maledizione di ogni donna che lavora in pubblico? L’unica competizione che è sempre destinata a perdere è quella con la se stessa più giovane.