Il ritratto dell’impresario di auto da corsa prende vita sulla strada, ma la casa è un tormento. Adam Driver è protagonista insieme a Penélope Cruz e Shailene Woodley.

In “Ferrari“, Adam Driver si staglia come un colosso nel ruolo di Enzo Ferrari. Driver è alto e robusto, ma qui sembra ancora più grande, e anche più largo, in parte perché Enzo indossa abiti squadrati con spalle così larghe da raschiare i bordi dell’inquadratura. L’uomo più famoso d’Italia, a parte il Papa, Enzo produce auto da corsa rosso sangue con curve sexy e motori sovralimentati. Il Commendatore, come viene chiamato, sembra più un carro armato. Sembra un veicolo ideale per Michael Mann, un regista con una sua linea di belle ossessioni.

Ambientato in gran parte nel 1957, il film “Ferrari” si concentra su un anno particolarmente catastrofico nella contorta vita di Enzo. Egli produce alcune delle auto più ambite al mondo: C’è un re che aspetta impaziente nell’ufficio di Enzo non molto tempo dopo l’inizio della storia. (Il personaggio reale, di bassa statura, è ansioso che questa volta i suoi piedi raggiungano facilmente i pedali). Tutto il mondo vuole qualcosa da Ferrari, che a sua volta sembra preoccuparsi solo delle sue auto da corsa, splendide bestie rosse che escono dalla fabbrica vicino a casa sua, a Modena, e si lanciano nelle gare più veloci e letalmente pericolose del mondo, dove record, macchine e corpi vengono abitualmente infranti.

Ciò che fa correre queste auto e la Ferrari permea il film, che si apre con il giovane Enzo (Driver) al volante, che corre e vola. Il jazz sbarazzino e propulsivo della colonna sonora conferisce alla scena un fascino invitante (anche voi sarete pronti a saltare sull’auto di Enzo), così come il sorriso che si diffonde sul suo volto. È una delle poche volte in cui ne fa uno. Poco dopo, la storia si sposta su un Commendatore più anziano, ormai grigio e imperiale e alle prese con la bancarotta, alle prese con il lavoro e con due famiglie con due donne molto diverse. Una di queste lo saluta in una mattina particolarmente arrabbiata sparandogli un colpo di pistola, cosa che attira la sua attenzione.

La morte del figlio perseguita Enzo e questo film, che prende energicamente slancio anche quando Mann si destreggia con grande impegno tra le numerose parti della storia e i dualismi in conflitto. Scritto da Troy Kennedy Martin, il film si basa sulla chiara biografia del 1991 di Brock Yates “Enzo Ferrari: The Man, the Cars, the Races, the Machine”, anche se solo in parte strategica. (Mentre il libro ripercorre il suo soggetto (e il suo marchio) dalla culla all’oltretomba, il film condensa la vita del costruttore di automobili in un breve periodo emblematico e in una serie di drammatiche contrapposizioni, tra cui due figli, uno vivo e uno morto, nonché le auto da strada che Enzo vende e le auto da corsa che sono la sua passione di vita.

Il film è similmente diviso tra i generi e, come Enzo stesso, oscilla tra il melodramma che definisce la sua vita domestica e il thriller che decolla ogni volta che una delle sue auto da corsa lo fa. Mann dedica molto tempo alla biforcuta vita personale di Enzo, che si divide tra la sua casa di Modena e una fattoria pastorale fuori città. A Modena, vive in una tetra villa che condivide con Laura (Penélope Cruz), moglie e socia in affari, e con la madre (una feroce Daniela Piperno), una gorgone che perseguita gli altri abitanti come una maledizione. Non c’è da stupirsi che egli fugga regolarmente alla fattoria per stare con Lina Lardi (Shailene Woodley) e il loro giovane figlio, Piero (Giuseppe Festinese)

Con queste donne, Mann espande i soliti parametri ristretti della narrazione del grande uomo della storia, ma solo la relazione di Enzo con Laura si rivela interessante. La Woodley è soddisfacente nel ruolo di Lina, un’insipida casalinga spettinata che, per la maggior parte del tempo, è a letto o a preparare qualcosa in cucina. Nonostante i problemi della coppia – Lina vuole che Enzo riconosca legalmente il figlio in modo che possa portare il nome Ferrari – la loro relazione è troppo pedestre, o forse semplicemente troppo felice, per essere produttiva, almeno per questo regista. Per lo più, Lina e Piero fungono da contrappunto temperato e tollerante al matrimonio infelice di lui.

Grandissima l’interpretazione di penelope Cruz, non nuova nell’esaltare parti drammatiche. La sua Laura non è più scialba di Anna Magnani, la mitica attrice italiana che è un chiaro riferimento, certamente visivo, per il personaggio. Cruz presenta un’immagine intrinsecamente affascinante, per quanto Laura sia stata opacizzata dalla morte dell’unico figlio di lei ed Enzo. Cruz lascia entrare la luce in questo personaggio spesso immodificato, la cui tavolozza emotiva spazia tra il risentimento amaro e la rabbia a malapena contenuta, aggiungendo note intricate e complicate. Si vede l’umorismo sbiadito nell’amarezza sardonica di Laura, e forse qualcosa che un tempo si avvicinava alla gioia. Si vede anche la durezza e l’intelligenza della donna che ha contribuito a costruire il marchio Ferrari e la leggenda.

Driver ci fa entrare in Enzo per quanto possibile, dato il materiale, anche se il calore e la decenza dell’attore non si sposano mai del tutto con il freddo e logorante interesse personale del suo personaggio ma che comunque svolge più che egregiasmente il suo ruolo di interprete. Come altri protagonisti memorabili di Mann, Enzo è un uomo gravemente serio, laborioso e dal pugno chiuso, che spesso sembra pronto a colpire. Questa minaccia può tenere l’attenzione su questi personaggi, ed è fondamentale per il loro carisma violento. Se la brutalità fosse l’unica cosa che li caratterizza, però, sarebbero dimenticabili, nient’altro che cattivi da quattro soldi. Parte di ciò che li rende ipnotizzanti è il gioco tra il loro torrente esistenziale e lo sforzo titanico di volontà che questi personaggi impiegano per tenere tutto questo (qualunque cosa sia) sotto controllo.

Enzo è intimidatorio, a volte minaccioso e, come spesso ci viene ricordato, guidato e diviso. Tuttavia, anche perché si aggrappa a un’impresa consolidata piuttosto che costruirla, la sua intensità sembra alimentata più dal potere che dal desiderio. Ciò che emerge è la sua mercenarietà autocratica, il disprezzo per le vite altrui e, soprattutto, il suo amore per le auto. In una scena mattutina a casa di Lina, spinge la sua auto lungo il vialetto per non svegliare lei o Piero. È un tocco di classe, anche se sembra un tentativo di umanizzare Enzo. Ciò che è più rivelatore sono le immagini di lui dopo la partenza, un intermezzo che Mann scompone analiticamente in inquadrature delle mani di Enzo che lavorano sul volante e sulle marce mentre i suoi piedi danzano sui pedali.

Sembra che Mann abbia trascorso molto tempo al volante, perché le corse sono assolutamente entusiasmanti. Molte delle scene più piacevoli si svolgono quando i piloti (interpretati, tra gli altri, da Gabriel Leone, Jack O’Connell e Patrick Dempsey) sono alacremente al lavoro e sfrecciano su una pista o su una stradina di campagna minacciosamente vuota, come in un evento clou su strada aperta: La Mille Miglia.

Mann riprende questa folle corsa da ogni angolazione possibile – con telecamere che entrano ed escono dalle auto, che puntano sui volti dei piloti, che si librano agitate a mezz’aria – creando un’intimità coinvolgente e viscerale che, mentre i motori fischiano e rombano fragorosamente, si sente nelle ossa.

All’apparenza, Enzo ha le carte in regola per aggiungersi naturalmente alla schiera di uomini tormentati e angosciati di Mann, anime angosciate a cui l’autore dà voce con la sua regia sublimemente espressionista. Eppure Enzo rimane fuori portata. Il problema è che Mann ha bisogno di un personaggio con un’anima, non solo di una vocazione. Continua a cercarne uno e, a tal fine, mostra periodicamente Enzo in un primo piano così estremo che il volto del costruttore di automobili occupa il primo piano, dominando la visuale così come domina la sua vita. Queste immagini trasmettono l’isolamento di Enzo da gran parte del suo mondo, con tutti i suoi vivi e i suoi morti inutili. Ci si trova all’interno della testa di questo personaggio nel modo più profondo che si possa immaginare, anche se, dati gli scorci che si intravedono di ciò che c’è dentro e tutti i danni che Enzo fa, è il regista più che il personaggio a tenerci rapiti.

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